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Jason Blum ti voglio bene

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Quando diventi famoso come Jason Blum c’è sempre qualcuno che ti prende di mira, qualcuno che non è d’accordo, qualcuno che ce l’ha con te e ti identifica come il male. Qualcuno a cui serve dire che tu sei il male così da definire la propria personalità in opposizione alla tua.
Jason Blum invece è il bene.

Il bene

Il bene

Erano letteralmente decenni che un produttore non diventava così famoso per la sua capacità di imporre uno stile riconoscibile a tutte le proprie produzioni, era ancora di più che un produttore non riuscisse da solo a rivitalizzare un intero genere, unendo risparmio e qualità. Jason Blum ha fatto tutto questo e continua a farlo ogni giorno.
Io a Jason Blum voglio bene non solo perché fa ottimi film (non tutti, ma molti) né perché ha riportato la paura vera negli horror attraverso una rigida imposizione di regole e paletti ad una nuova schiera di autori scoperti da lui stesso. Io gli voglio bene perché ha fatto tutto questo con un’etica fantastica del produrre molto e produrre in fretta; l’ha fatto riducendo il cinema alle sue basi essenziali (per risparmiare) e ritornando ai fondamentali. L’ha fatto in due parole con una ferrea etica da B movie, ma senza scadere in qualità, in totale autonomia e appoggiandosi solo a se stesso. Applausi!

Avrà poco più di 40 anni Jason ed è uscito dalla scuola più dura del mondo, negli anni ’90 stava infatti appresso ai Weinstein, era il loro galoppino di fiducia, il che significava trattare con meschinità tutti, prendersi urla continue, assistere a sfuriate senza senso, doversi imporre per ottenere privilegi orrendi e tutto ciò che nella nostra testa sono le assurdità opulente e lussuose, le arroganze da produttore hollywoodiane rese vere.
Uscito da quel mondo Blum si mette in proprio con la forza di chi sa che dopo essere stato alla West Point della produzione nulla potrà più andare male. Non è un produttore di horror, non ha nessuna formazione particolare né è un patito del genere (checchè ne dirà in seguito), ma nel 2006 incontra Oren Peli, o meglio vede Paranormal Activity e lo compra per primo. Quel clamoroso successo economico di fatto fonda la sua casa di produzione: la Blumhouse.

Gli uffici della Blumhouse. Il mobilio è a nolo

Gli uffici della Blumhouse. Il mobilio è a nolo

Da quel successo Blum capisce tantissime cose, le stesse che capiremmo io e voi: questo ha fatto milioni spendendo niente, pure che il film avesse incassato 100 volte meno comunque era andato in pari, di film così se ne possono fare anche 1000 in un anno. A differenza di me e voi però di ciò fa un metodo, un motto e uno stile, comincia in sostanza a lavorare per limare tutto il budget da ogni film e decide che lui non produrrà più niente sopra i 5 milioni di dollari. Finiti i suoi impegni già presi, dal 2010 comincia un’altra vita, una serie di avventure produttive a budget ridicoli, film di paura messi in mano a semi esordienti se non proprio esordienti totali, il primo dei quali è Insidious (1,5 milioni di dollari il budget, 53 milioni l’incasso), il secondo ovviamente Paranormal Activity 2 (2 milioni il costo, 84 milioni il profitto) e poi viene Sinister (3 milioni il costo, 48 milioni il profitto). Marciando ad una media di uno o due film l’anno nel 2012 ha già più di centinaia di milioni incassati che però non sono tutti per sé.
Ad Hollywood infatti non si possono spendere solo 2 milioni per fare un film vero e ben realizzato (è il budget di un film italiano medio basso e poco più di quel che spende la Asylum per i suoi), non è proprio possibile, non ci sono i margini per spendere così poco, ci può riuscire solo Blum che riduce tutto al minimo dei minimi, lavora con gli esordienti e soprattutto convince quasi tutti coloro i quali dovrebbe pagare parecchio a prendere una quota degli incassi.

È il contrario dell’etica Marvel (la quale paga tutti pochissimo, anche gente come Joss Whedon, perché sa che tutti vogliono essere in un film Marvel vista la visibilità che conferisce, sì avete letto bene: la Marvel paga praticamente in visibilità), tutti si arricchiscono con Blum perché con i suoi film si fanno i soldi. Ovviamente conta non poco il fatto che sono sempre film girati in un ambiente solo, solitamente una casa, che hanno interni non preparati, che non richiedono espedienti di fotografia particolari e hanno pochissimi attori. Blum sta sperimentando tutte le variazioni possibili dell’horror tra 4 mura, sta coinvolgendo tutti gli attori disposti a prendersi dei rischi e sta facendo i miliardi con i fondamentali del cinema, lavorando di montaggio e poco digitale. Sembra facile ovviamente ma non lo è, con una simile struttura i film semplicemente vengono male, per farli bene occorre scovare talenti che nessuno ha scovato, esordienti senza pretese.
Dopo Sinister (nel quale c’è Ethan Hawke, un appassionato di queste avventure produttive indie tant’è che tornerà in La notte del giudizio) chiaramente il ritmo cambia e la produzione aumenta in quantità, non sempre ad alti livelli di qualità ma sempre con alti livelli di profitto. Fa fare un horror tutto found footage a Barry Levinson (The Bay), produce per 2,5 milioni Le streghe di Salem di Rob Zombie e poi azzecca due nuove galline dalle uova d’oro: La notte del giudizio e quel capolavoro di Oculus. Tre milioni di budget il primo e 5 milioni il secondo.

Fantasmi a basso costo

Fantasmi a basso costo

A questo punto mi devo fermare un attimo da questo elenco di nomi, titoli e budget, perché c’è qualcosa che va oltre tutto ciò.
È il 2013, la Blumhouse è al terzo anno di attività e ha già 4 possibili franchise creati da zero (Insidious, Paranormal activity, Sinister, La notte del giudizio), film non si appoggiano a nulla di preesistente, non sono dei fumetti o dei remake e che può produrre a costi ridicoli. Nessuno ha un simile patrimonio al momento ad Hollywood. Nemmeno la Warner. Ha l’attenzione di tutto il mondo del cinema e chiunque desidera lavorare con lui per una quota degli incassi. Blum tuttavia continua a sperimentare cineasti rivitalizzando Wan (Dio l’abbia in gloria!) e scoprendo James DeMonaco e Mike Flanagan. Questi due sono gli autori di La notte del giudizio (il primo) e Oculus (il secondo), due talenti potentissimi, capaci di manipolare la tensione negli spazi stretti come pochi e di lavorare sul montaggio (Flanagan era un montatore prima) in maniere nuove per l’horror. In film molto rapidi, secchi e asciutti sperimentano narrazioni classiche. Sembrano opere dotate del minimalismo dei film americani degli anni ’40 e delle idee di paura del cinema incazzato dei ‘70. Blum in pratica aggiunge a tutto quel che già fa anche la sperimentazione del genere, crea nuovi campi in cui è l’unico giocatore. O quasi.

Il suo successo non passa inosservato e per fortuna cominciano ad uscire i cloni dei suoi film. Un prodotto stupendo come L’evocazione è un film Blum al 100% (una casa, pochi attori, paura classica, poca CG), solo che non è suo e infatti è costato 20 milioni. Si tratta di una creatura di Wan prodotta da un’altra parte, assecondando però le idee Blumhouse, con il suo gusto fantastico per la paura primordiale e per il chiudersi in casa con il maligno. Il cinema dell’orrore comincia a ragionare con la testa di Blum e il genere ritorna in palla anche in America, come non lo era da anni. Certo nella valanga di nuove produzioni ne escono anche moltissime fatte a caso, robaccia un tanto al chilo e un po’ di queste vengono dallo stesso Blum (tipo Dark Skies) ma cos’è sperimentare se non rischiare di fare anche le schifezze? Cos’è se non avere le spalle così larghe da potersi permettere di fallire molto per trionfare molto? Non fatevi ingannare dal fatto che i film Blumhouse non hanno movimenti di macchina arditi o soluzioni che fanno della sperimentazione formale, narrativamente sono sempre sofisticati e particolari, mettono in scena idee fresche di gente fresca che non ha quasi nulla dietro di sè.

Nel 2014 Jason Blum produce ben 16 film, di cui solo uno è realmente memorabile e non è un horror. La sua abilità da talent scout gli fa notare Damien Chazelle, a cui prima produce un corto e poi un lungo dallo stesso titolo che espande quella stessa storia: Whiplash. Tre milioni di costo e 13 di incasso (pochini ma sufficienti, del resto questo è il segreto della Blumhouse, è impossibile andare in negativo), più un Oscar e il rispetto di tutti tranne che di Fofi.
Ad oggi la Blumhouse è una casa di produzione sempre più vasta, ha in produzione più di 20 titoli l’anno e lentamente si apre agli altri generi (nonché alla tv) con la medesima etica di pochissimo budget e altissima qualità, una contraddizione in termini possibile solo in quelle mura e a quelle condizioni. Intanto nel resto del mondo nascono film come It Follows o The Babadook che riprendono in pieno tutte le regole non scritte del mondo a costo ridotto di Blum (2 milioni il primo e 2 milioni e mezzo il secondo sono i budget), opere geniali che sfruttano quelle limitazioni per far scoppiare la creatività.
Da solo Jason Blum ha fatto tornare di moda il non sprecar soldi, il fatto che le idee non costano niente. Sta per uscire Unfriended in cui ha ridotto ancora di più il budget, non bastavano le case no, Unfriended è tutto ambientato in una conversazione Skype. Budget: 1 milione di dollari. Non ci paghi nemmeno i titoli di coda con quei soldi.

Manco le scenografie ci sono

Manco le scenografie ci sono

Inevitabilmente più produce e più si abbassa la qualità media, più escono progetti di dubbio gusto ma sempre guidati da esordienti, sempre spinti da idee fuori dal comune che cercano di muoversi con personalità nei soliti ambienti. Nessuno ad Hollywood ha cicli di grande potenza, creatività e successo troppo lunghi, solo i grandi studios o casi assurdi come la Pixar ci riescono, questi sono gli anni di Jason Blum e non sappiamo quanto dureranno, io al momento me li godo perché a quelli come Jason Blum gli voglio bene. Quelli che dopo essere stati ai massimi livelli prendono e tornano nella palestra di periferia ad allenarsi perché solo lì ti vengono gli occhi della tigre. Solo quest’anno che arriva Blum tenterà l’impossibile impresa di rimettere in riga il più grande talento buttato al cesso degli ultimi 20 anni: M. Night Shyamalan, affidandogli un film dell’orrore (The Visit, 5 milioni di budget) dopo avergli levato tutti i vizi da regista ricco, portandolo a correre sulla spiaggia e fare il sacco con guantoni sporchi.
Come si può non voler bene ad uno così? Uno tutto sostanza e poche chiacchiere, poche stupidaggini e molto risultato, niente lustrini e tutto creatività? Non si può, ammettiamolo.

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