Ti West è una nostra vecchia conoscenza. Fa parte di quell’ondata di giovani e bizzarri registi horror come Adam Wingard, Joe Swamberg, Simon Barrett, Matt Bettinelli-Olphin e Tyler Gillett. Un po’ quelli del mumblecore, un po’ quelli della serie V/H/S, un po’ quelli di The ABC’s of Death. A mio avviso Ti West – insieme a Wingard – è proprio uno dei più promettenti. Ha dimostrato in tutti i suoi film di essere in grado di mettere un’evidente ristrettezza economica a servizio di buone idee. Ha cavalcato anche lui l’onda lunga del citazionismo anni Ottanta, senza però risultare semplicemente nostalgico. Se non avete mai visto nulla della sua produzione horror vi consiglio di recuperare almeno i due suoi gioiellini: The House of the Devil e soprattutto The Innkeepers.
Il dato piuttosto curioso di questo In A Valley of Violence è che l’incontro tra uno dei più promettenti giovani registi horror e IL produttore horror per eccellenza, Jason Blum della Blumhouse, ha dato vita a un western. A quanto pare è andata così: Jason Blum dopo averlo conosciuto sul set di The Purge e di Sinister, ha stretto amicizia con Ethan Hawke. Quest’ultimo ha intuito – con un certo ritardo – qual è l’ultimo trend del momento in quel di Hollywood: il western! Per cui ha deciso che anche lui vuole recitare in un film coi cavalli, i cappelloni, le pistole, le vallate e la Frontiera. Ethan non si vuole far mancare nulla e Jason vuole fare di tutto per accontentarlo. Per cui parte la ricerca per uno script soddisfacente, qualcosa di succoso su cui mettere le mani. Jason Blum ha questo punto fa la conoscenza di Ti West il quale nel frattempo ha anche lui intuito da che parte tira il vento e ha scritto un western. Jason è contento, Ethan pure, Ti West non ne parliamo. E allora? E allora via con la trama di In A Valley of Violence.
Quest’intero paragrafo racconta il film con un po’ di spoiler. A voi la scelta. Ethan è un ex soldato delle Forze Confederate. Ne ha viste di ogni nella sua vita: ha fatto cose per cui quando morirà, andrà sicuramente all’inferno, su questo non c’è dubbio. In cerca di redenzione, una volta finita la guerra, s’è lasciato tutto alle spalle. In sella al suo cavallo e in compagnia del suo inseparabile cane Abby ha deciso di attraversare il confine a andare a vivere in Messico, dove forse potrà ricominciare a vivere. Ma la strada per la redenzione, si sa, è lastricata di difficoltà. Ethan, da buon straniero senza nome, passa per Denton, città fantasma nel bel mezzo del nulla. Mentre è al saloon a sconfiggere i suoi demoni (leggi bere acqua al posto di whisky), viene provocato dal figlio dello sceriffo (James Ransone). Ne nasce una scazzottata da cui Ethan esce vincitore. Ma certe cose a Denton non passano inosservate e se non ce l’ha fatta il figlio a fare la voce grossa, forse è arrivata l’ora di mettere in campo l’artiglieria pesante. Arriva quindi lo sceriffo della città, John Travolta zoppo, a far capire a Ethan che Denton è tutto tranne che una città ospitale per chi arriva e tira un cazzotto in faccia a suo figlio. Facciamo così: io te l’ho detto. Adesso sta a te decidere se rimanere qui e farci arrabbiare veramente oppure andartene per la tua strada, straniero. E Ethan sceglie di andarsene. Solo che sapete anche voi come vanno queste cose, no? Tu scappi dai demoni, ma quelli sono più veloci di te. Quel poco di buono del figlio dello sceriffo e i suoi amici buzzurri e ubriaconi (tra cui spicca il solito Larry Fessenden) hanno deciso che a loro quella scazzottata finita male non è andata giù. Lo raggiungono nottetempo, mentre questo sta dormendo sotto le stelle, gli uccidono il cane – ultimo barlume della sua umanità – e lo buttano da un dirupo. Lo credono morto. Ma gli stranieri senza nome hanno sette vite come i gatti. E sono assetati di vendetta.
In A Valley of Violence è un film che si sforza come un pazzo per essere un vero e proprio western. Sfodera tutto un armamentario estetico e narrativo che è l’equivalente di una scarica di gomitino! gomitino! della miglior specie. C’è tutto quello che vi potete immaginare: una storia lineare e asciutta, fatta di stranieri senza nome e sanguinose vendette. C’è una regia che recupera azzardatissimi zoom e un certo gusto per i campi lunghi. Una colonna sonora (firmata da Jeff Grace, sodale di Ti West e già autore del bellissimo score di Cold in July) oltre il citazionista. Ci sono attori che si impegnano, come Hawke in primis ma anche il sempre ottimo James Ransone e le due donne del film, Taissa Farmiga e Karen Gillan. C’è un occhio decisamente azzeccato per il contesto, per le comparse, come gli ottimi Burn Gorman o Toby Huss. (No, amici. Non cito John Travolta perché mi sono impegnato più io a scrivere questa recensione che lui a recitare). C’è tanto, insomma. Ma non c’è abbastanza per elevare l’operazione allo scherzetto tra amici, al film quasi amatoriale, al fan movie graziato dalla presenza di un cast d’eccezione. Sicuramente parte del problema è la mancanza di pazzo cash che, se in casa Blumhouse ha solitamente funzionato in ambito horror, mal si adegua alle esigenze di un film che vuole gridare ai quattro venti le sue ambizioni western. Brutto? No. Curioso? Decisamente. Detto questo, tiremm innanz.
DVD-quote:
“La svolta western del vostro team horror preferito”
Casanova Wong Kar-Wai, i400Calci.com