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Kang e Kodos presentano: The Hunt

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(non è questo il twist del film, ma ci sta sempre bene)

Era il 2015 quando Jackie Lang scriveva per noi un approfondimento sulla Blumhouse.
Il mondo aveva già osservato i clamorosi successi commerciali delle saghe di Paranormal Activity e Insidious, erano usciti un paio di Purge, era riuscito il colpaccio di resuscitare Shyamalan con The Visit e quello ancora più clamoroso di lanciare Damien Chazelle con il non-horror (ma decisamente da combattimento) Whiplash. Non era ancora uscita la conferma definitiva di Split e del terzo Purge, né il clamoroso caso di Get Out che puntò definitivamente i riflettori sulla creazione di Jason Blum.
Oggi la reputazione della Blumhouse è solida come una roccia: avendo scoperto la formula magica del basso investimento e altissimo profitto, più di ogni altra major là fuori possono permettersi di scommettere e rischiare. Per un Jem & The Holograms che non si fila nessuno c’è un Truth or Dare che porta profitto senza sforzi, c’è BlackKklansman che ne consolida lo street cred con i grandi autori e c’è il remake di Halloween che paga da solo per tutta l’annata. E ora sono pure riusciti là dove la Universal, con cui hanno un accordo di prima opzione, a rilanciare il Dark Universe con The Invisible Man.
Una mattina quindi il controverso sceneggiatore Damon Lindelof (Lost, Prometheus, la serie di Watchmen) si sveglia con un’idea che lo lascia tutto bello barzotto, passa l’intera giornata a congratularsi da solo allo specchio, poi chi volete che chiami?
È un thriller violento, può avere costi contenuti, ha intenti satirici/politici: il suo uomo è Mr. Blum.
E qual è questa idea geniale di Damon Lindelof?
Sentite qua: “e se facessimo un film violento in cui sembra che sfottiamo i buzzurri conservatori – FERMATI JASON non dirmi di sì subito non è ancora finita – e poi invece sfottiamo anche i fighetti liberali e quindi sostanzialmente – mettiti seduto – siamo neutrali?”.
Jason Blum quando l’ha sentita è svenuto.
Quando si è ripreso ha finto indifferenza: “E quanto ti serve?” “15 milioni.” “Ok.” “Grazie!” “Aspetta… Hai detto 15?” “Sì.” “Ok” “Che è quella chiazza nei pantaloni Jason?” “Quale chiazza?” “Come non detto Jason, grazie.” “Ok”.

Ma quanto costa scrivere semplicemente “a voi un action thriller fatto come si deve”?

La storia promozionale di The Hunt è costellata dal karma in azione.
Succede che l’uscita viene calendarizzata per il 27 settembre 2019.
Succede che prima la campagna si bulla delle controversie, puntando tutto il marketing sulle promesse di politicamente scorretto e poi, fra il 3 e il 4 agosto, succede una sfiga imprevedibile: non una, ma ben due grosse sparatorie nel giro di 24 ore. Quella di El Paso (Texas), 22 morti e 24 feriti, e quella di Dayton (Ohio), 10 morti e 27 feriti. Le due più grosse dell’anno.
E fin qui… Di certo non è colpa di un film che doveva uscire quasi due mesi dopo, no?
A chi volete che venga in mente un collegamento simile?
Chi mai potrebbe pensare cheOK OK sì avete indovinato Donald Trump tramite Twitter.
Trump twitta e non cita il film direttamente ma dà la colpa delle sparatorie all’odio fomentato da Hollywood, e cinque giorni dopo convoca un meeting con alcuni produttori.
E che vuoi fare davanti a un tweet indiretto di Trump?
Sia mai che un film ideato ed esplicitamente promosso come controverso, insensibile e fastidioso sia davvero controverso, insensibile e fastidioso: la sua uscita viene cancellata.
O meglio: rinviata a data da destinarsi.
Che va bene essere inappropriati e politicamente scorretti, ma non se c’è il rischio che qualcuno si offenda.
La Blumhouse si prende qualche mese per rifletterci e poi comincia una nuova campagna pubblicitaria che non smorza ma raddoppia l’accento sulle controversie.
The Hunt è “il film più chiacchierato dell’anno che nessuno ha visto”.
La nuova data di uscita?
Il 13 marzo.
Scoppia la pandemia COVID-19, il film si fa un pugno di giorni in sala in condizioni precarie e poi effettivamente non lo può vedere nessuno.

Chi si salverà?

Ma di che parla The Hunt?
Possiamo finalmente dirlo perché, con la coda tra le gambe, il film è stato offerto con la formula d’emergenza dello streaming deluxe che ci ha portato anche The Invisible Man e Bloodshot.
La storia in sé non ha nulla di nuovo: è l’ennesima variante della cara, vecchia Pericolosa partita del racconto di Richard Connell del ’24, portata sullo schermo da Schoedsack e Cooper nel ’32 e poi rifatta mille volte come un blues – qui a casa Cobretti siamo affezionati principalmente alla versione con Van Damme e quella con Michael Dudikoff.
L’idea però è soddisfare, e contemporaneamente sfottere, sia il complottismo dei conservatori che il classismo dei liberali, immaginando sostanzialmente questi ultimi a organizzare una caccia mortale al redneck (o “deplorables”, come vengono definiti dallo scambio di sms che apre il film e che si rifà al modo in cui Hillary Clinton aveva etichettato i sostenitori di Trump durante la campagna elettorale del 2016).
Leviamoci subito il dente dell’argomento scomodo, che è lunedì: questo è il tipo di film che ogni volta che arriva il momento della frecciatina satirica ferma tutto, accende il megafono e lo introduce con un “state a sentire quanto siamo intelligenti”.
L’idea di per sé puzza di freddo paraculismo lontano un miglio ma non è per forza da buttare a priori: ha spunti innegabilmente attuali, e in questa sua finta neutralità pseudo-controversa persino fresca. Ma che Get Out di Jordan Peele sia materiale capace di ipnotizzare gli Oscar mentre questo possa aspirare al massimo a scatenare qualche timido flame sui social è evidente da subito.

“Now I have a machine gun. Ho ho ho.”

E sapete qual è il problema? Che, sempre a differenza di Get Out, la parte puramente di genere funziona davvero.
Verrebbe da sospettare che il film sia interamente sostenuto dalla sua componente satirica, con una campagna marketing interamente concentrata su di essa e il suo continuo inchiodare di colpo il ritmo ogni volta che vuole mandare a segno la sua goffa parodia di uno stereotipo repubblicano o democratico, assicurandosi che tutti la capiscano.
Ma la realtà è che Lindelof, aiutato da Nick Cuse (figlio del Carlton con cui gestì Lost), approfitta della formula narrativa arcinota per giochicchiarci, mischiare le carte e rendere i procedimenti più interessanti. Là dove i tentativi di essere metaforicamente rilevanti sortiscono il più delle volte il classico effetto della puntina che sgraffia il vinile ecco che, fortissimamente complice anche la lezione di You’re Next, quelli di creare un action thriller violento e divertente vanno a segno e lo pongono immediatamente al di sopra del suo compagno di scuderia The Purge.
L’asso nella manica? Betty Gilpin.
Chiunque abbia visto in lei i prodromi dell’action star è stato baciato da una luce divina che non si vedeva dai tempi in cui decisero che il miglior rimpiazzo di Schwarzenegger per girare Die Hard era un arrembante comico di nome Bruce Willis.
Perché a Betty, oltre dieci anni di densissima carriera fra drammi e commedie, riesce esattamente lo stesso numero: quello di creare una versione tutta sua, dall’espressione indecifrabile, dell’eroe d’azione. E lo fa esattamente come fece Bruce: trovando prima il lato cazzuto che lo rendeva efficace nelle situazioni di pericolo, e poi quello umano che aggiungeva freschezza/spessore senza minare la sua credibilità al momento di menare/sparare.
E contrapporgli Hilary Swank, il doppio premio Oscar dalla carriera più mortificante di tutti i tempi, è l’altra intuizione perfetta che ci mette immediatamente davanti all’equivalente femminile di Chuck Norris vs David Carradine in Una magnum per McQuade prima ancora che ci rendessimo conto di desiderarlo.
E allora mi stai antipatico, The Hunt, perché pecchi di ingiustificata insicurezza: riesci nel miracolo di divertire con una formula stra-abusata, e in quello ancora più raro di scovare un nuovo esaltante action hero dove prima non c’era, ma hai pensato che non bastasse e hai voluto buttare tutto per farti bello con gli hashtag.
Vergogna, The Hunt, vergogna.

“Pronto? Hollywood? Vorrei altri 10 film d’azione con Betty Gilpin, grazie. Mandate pure in pensione Mark Wahlberg.”

Streaming Deluxe-quote:

“Non prendetevela con me, io ho votato Kodos”
Nanni Cobretti, i400calci.com

>> IMDb | Trailer

P.S.: scopro solo adesso che La pericolosa partita sta per diventare un serial tv con Liam Hemsworth e Christoph Waltz

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